Siamo nel pieno di una svolta autoritaria: Meloni, Gaza e la restaurazione del fascismo
Introduzione: Una realtà difficile da vedere
Siamo nel pieno di una svolta autoritaria in Italia. Eppure, in molti non riescono a vederla. Non perché sia nascosta, ma perché si presenta sotto forme insospettabili: il silenzio delle istituzioni, la complicità diplomatica, l’adesione a narrative disumanizzanti. Questo è il nuovo volto del fascismo: niente marce né stivali, solo dichiarazioni evasive, alleanze strategiche e crimini umanitari tollerati in nome della “sicurezza” o della “ragione di Stato”.
Quello che accade a Gaza non è lontano da noi: è parte integrante della politica estera italiana, della sua identità di governo, del suo progetto ideologico. Mentre i crimini si moltiplicano sotto gli occhi del mondo, il governo Meloni tace. Anzi: rafforza i legami con chi li commette, in aperta contraddizione con i valori costituzionali su cui si fonda la Repubblica.
Questo articolo vuole fare una cosa semplice e radicale: unire i puntini. Mostrare il disegno. Far emergere il legame diretto tra l’indifferenza verso Gaza e la deriva autoritaria in Italia. Perché indignarsi per Gaza ma ignorare il comportamento del nostro governo significa rimuovere una parte fondamentale della realtà.
E allora, poniamoci insieme alcune domande scomode. Quelle che aprono gli occhi. Quelle che portano alla consapevolezza. Quelle che ci aiutano a scegliere da che parte stare.
L’Italia sta attraversando una fase storica che segna una discontinuità profonda con i valori fondanti della sua democrazia. Di fronte ai crimini umanitari commessi a Gaza, alla legittimazione politica del suprematismo e alla riabilitazione implicita del fascismo, il governo guidato da Giorgia Meloni non solo tace, ma agisce con coerenza strategica. Non si tratta di un eccesso retorico: ciò che è in atto è una vera e propria svolta autoritaria e fascista, portata avanti in aperta violazione dello spirito e della lettera della Costituzione italiana.
Lo sterminio del popolo palestinese non è un fatto lontano da noi. È proprio questa tragedia, questa immane disumanità, a rendere possibile — nella distrazione generale — la normalizzazione del fascismo in Italia. Il sostegno ideologico, diplomatico e militare al genocidio di Gaza è il riflesso diretto di un’identità politica autoritaria che il governo Meloni sta costruendo giorno dopo giorno.
Ma allora, perché riusciamo a provare orrore per Gaza, ma restiamo in silenzio davanti al governo che la sostiene?
Questo articolo si propone di dimostrare, attraverso una catena di argomentazioni logiche e fatti documentati, che ciò che accade a Gaza e ciò che accade in Italia sono parte dello stesso progetto politico globale: la restaurazione del suprematismo come dottrina del potere. Una trasformazione che va fermata prima che diventi irreversibile.
1. L’annientamento di una popolazione civile non può essere un “effetto collaterale”
Oltre 70.000 civili palestinesi sono stati uccisi, di cui almeno 20.000 bambini. Più di 300.000 persone hanno perso la vita a causa delle conseguenze indirette dell’assedio su Gaza: fame, malattie, mancanza di medicinali, crollo del sistema sanitario, traumi psicologici, esposizione costante al terrore. Questi non sono “effetti collaterali” né “errori strategici”. Sono il risultato di una deliberata politica di annientamento, condotta in violazione delle Convenzioni di Ginevra, del diritto internazionale e della più elementare etica umana.
Chiamare queste vittime “scudi umani” o “fatalità inevitabili” significa aderire a una logica disumanizzante che giustifica l’orrore. Dove esiste lucidità morale, non può esserci neutralità linguistica. La soppressione massiccia di civili innocenti — tra cui una percentuale sconvolgente di minori — è un crimine contro l’umanità. Continuare a parlarne in termini eufemistici è già una forma di complicità.
Quante vittime devono ancora esserci prima che chiamiamo tutto questo per nome: genocidio?
2. La mancanza di empatia è il segnale della disattivazione dell’umano
Il venir meno della compassione di fronte a immagini e testimonianze di bambini amputati, famiglie sterminate, interi quartieri rasi al suolo, non è un semplice effetto dell’assuefazione mediatica. È il segno tangibile della disattivazione di un principio fondativo del vivere civile: il riconoscimento dell’altro come essere umano.
Questa anestesia collettiva non è spontanea: è il risultato di un’opera sistematica di propaganda e normalizzazione. La retorica della sicurezza, del conflitto etnico, dell’autodifesa assoluta, ha eroso il senso di umanità condivisa. È questo il terreno su cui cresce il consenso passivo verso le politiche più estreme: quando l’altro non è più visto come simile, ogni crimine diventa tollerabile, ogni atrocità giustificabile.
Chi ci ha insegnato a non sentire più niente davanti all’orrore?
3. La disumanizzazione è il fondamento del suprematismo
Ogni volta che una vita umana viene considerata meno degna di essere protetta per motivi etnici, religiosi o politici, si apre la porta al suprematismo. Si crea una gerarchia tra vite “che contano” e vite “sacrificabili”. Questo è il principio operativo di ogni ideologia totalitaria: non esistono più individui, ma categorie da proteggere o eliminare.
La narrazione secondo cui le vittime palestinesi sono “inevitabili”, o “colpevoli per associazione”, ricalca fedelmente questa logica. Non è una narrazione neutra: è l’espressione diretta di un pensiero che ha già accettato la distinzione tra esseri umani e “non-persone”. È la stessa logica con cui, nella storia, si sono giustificati pogrom, pulizie etniche, deportazioni di massa.
Non abbiamo forse già visto — nella nostra storia — dove porta questa logica?
4. Il suprematismo è il cuore ideologico del nazismo
Il nazismo non è solo un fenomeno storico: è una forma mentis. È l’ideologia che legittima l’eliminazione dell’altro in nome della purezza, della forza, della supremazia. È una struttura di pensiero che si rigenera ogni volta che si nega l’universalità dei diritti umani.
L’attuale ideologia suprematista che sorregge il massacro a Gaza ne condivide la struttura profonda: un governo, quello di Netanyahu, che si ritiene superiore, un nemico assoluto da cancellare, una narrazione storica che giustifica tutto. Non cambia la bandiera: cambia il bersaglio.
Se oggi le vittime sono i palestinesi, chi saranno domani?
5. Chi sostiene questa logica oggi, non sta difendendo alcun popolo: sta tradendo l’umanità
Non si tratta più di geopolitica, né di autodifesa: è una questione etica e antropologica. Le leadership israeliane vengono oggi applaudite proprio da quegli ambienti suprematisti che storicamente hanno perseguitato gli ebrei. Donald Trump, Steve Bannon, Elon Musk, Giorgia Meloni, Viktor Orbán, Matteo Salvini: tutti attori di una nuova internazionale neofascista e suprematista. Non è una contraddizione, è un’alleanza strategica.
Trump e Musk flirtano apertamente con l’estrema destra antisemita, mentre sostengono Netanyahu. Salvini è stato pubblicamente premiato da Israele, pur rappresentando in Italia il volto più esplicito del razzismo e del sovranismo reazionario. Giorgia Meloni, erede diretta del neofascismo italiano, tace sui crimini di Gaza e offre il pieno appoggio politico e militare al governo israeliano. Tajani, invece, produce dichiarazioni vaghe e minimizzanti, negando la realtà dei crimini umanitari in corso.
Nel frattempo, a Gaza, la situazione ha superato ogni soglia di tollerabilità morale. Oltre 70.000 civili uccisi, di cui almeno 20.000 bambini. Più di 300.000 morti complessivi, se si includono le vittime indirette: stenti, fame, mancanza di medicinali, assenza di cure. I sopravvissuti vivono in condizioni di terrore, privati di ogni diritto, esposti a un’occupazione militare brutale. Il genocidio in atto è stato riconosciuto da centinaia di ONG internazionali, da organismi giuridici, accademici, umanitari. Eppure, il governo italiano finge di non vedere, scegliendo il silenzio come strategia diplomatica e ideologica.
6. Il governo Meloni è parte attiva di una svolta fascista internazionale
La premier Meloni, insieme a Salvini, Tajani e tutta la coalizione di destra-destra, porta avanti un progetto coerente e inquietante: evitare qualsiasi condanna ufficiale dei crimini di Israele, mantenere gli accordi di cooperazione militare, rafforzare l’asse ideologico con un governo responsabile di una catastrofe umanitaria senza precedenti.
L’apparente passività del governo italiano non è sintomo di debolezza, ma di adesione consapevole a una strategia internazionale. Il fascismo di oggi non si presenta con le camicie nere, ma con il silenzio istituzionale, la complicità diplomatica, la retorica della sicurezza. È il fascismo delle relazioni strategiche, dell’economia di guerra, del marketing geopolitico.
Nel frattempo, in Italia, si assiste a un’opera sistematica di silenziamento. I giornalisti vengono intimiditi, gli artisti censurati, le manifestazioni pacifiste equiparate ad atti antisemiti, il dissenso ridicolizzato o criminalizzato.
E l’opposizione? In molti casi sembra non cogliere la portata della minaccia. Si scandalizza per i premi a Salvini, si stupisce dei silenzi istituzionali, si appella a regole ormai ignorate. Ma questa non è più una normale dialettica democratica: è una trasformazione sistemica, che richiede coraggio e lucidità. È il momento di vedere il disegno complessivo, di nominare ciò che sta accadendo, di uscire dall’autocensura e agire con determinazione.
Questo è un appello. Ai partiti democratici, ai movimenti, ai sindacati, ai giornalisti, agli intellettuali: è tempo di riconoscere la natura ideologica della deriva in corso, e opporvisi apertamente. Ogni esitazione, ogni ambiguità, ogni prudenza eccessiva rischia di trasformarsi in complicità.
7. Essere cittadini italiani oggi significa opporsi a questa deriva
E cosa può fare ciascuno di noi? Tutto quello che serve.
- Il singolo cittadino può informarsi, parlare, condividere, rompere il silenzio. Ogni voce conta. Ogni coscienza sveglia ne risveglia un’altra.
- Le organizzazioni civiche e sociali possono costruire alleanze, promuovere iniziative, creare spazi di resistenza culturale e politica.
- I partiti di opposizione devono trovare il coraggio di dire le cose come stanno, senza più temere accuse di eccesso o retorica. Serve una nuova grammatica della verità.
- I media indipendenti devono farsi carico del compito essenziale di informare, dare voce a chi non ha voce, smascherare la narrazione ufficiale.
- Gli artisti, gli educatori, gli studenti, i lavoratori: tutti possiamo essere parte della risposta. Perché la democrazia non è uno stato permanente, ma una scelta quotidiana.
Chi ama la libertà, la giustizia e la pace non può più tacere. È il momento di scegliere da che parte stare.